Vojisavljević (1018-...)
La millenaria storia dello stato Montenegrino inizia nel IX sec. con
l'ascesa di Doclea, uno Stato bizantino vassallo. In questi anni di formazione,
Doclea fu governata dalla dinastia Vojisavljević, la prima famiglia reale
montenegrina. Nel 1042, al termine del suo venticinquennale regno, Re Vojislav vinse
la, decisiva, battaglia di Bar contro l'esercito
bizantino e Doclea divenne indipendente. Il potere e la prosperità di Doclea raggiunsero
l'apice sotto il regno del figlio di Re Vojislav, Re Mihailo (1046-1081) e di suo
figlio Bodin (1081-1101).
Re Nikola I Petrović, nel 1910, dichiarò: “Profonde
sono le fondamenta di questo nostro, rinnovato, regno. Essi discendono dal vecchio
Re del regno di Zeta Vojislav, Mihailo e Bodin. Il tempo poté distruggere solo ciò
che fu sulla terra ma non quello che fu costruito dentro di essa, ciò che fu piantato
nei cuori dei sentimenti di montanara libertà di queste montagne. E questo nessun
energumeno potrà distruggere. Noi iniziammo a costruire su queste profonde fondamenta.
E oggi, qui il nostro antico regno brilla sotto il sole splendente! (Glas Montenegro,
19 Agosto 1910).
Il territorio di Doclea comprendeva buona parte della costa adriatica meridionale,
molto dell'attuale Montenegro, il lago di Scutari,
la città di Scutari e parte della moderna Albania.
Nella parte occidentale includeva l'attuale Ercegovina, con il confine posto a circa
50 chilometri a ovest del fiume Neretva. I progenitori dei Montenegrini sono rappresentati
proprio dall'antico popolo di Doclea. Quella gente era, in accezione feudale, una
peculiare miscellanea di Illiri, Romani e Slavi, sintetizzabili sotto il nome di
Docleani. (Dragoje Zivković, Storia nazionale Montenegrina, Cetinje, 1989, p.134).
I Docleani erano prevalentemente Cattolici. La popolazione includeva anche i Bogomils
(membri di una setta cristiano-bosniaca originaria della Macedonia) e pagani, ma
queste fedi gradualmente scomparvero sotto la pressione della Chiesa romana cattolica.
La conversione al Cristianesimo ortodosso iniziò solo dopo la caduta della dinastia
Vojisavljević, nel XII sec.
Mihailo ricevette le insegne reali dal Papa, e l'immagine di Re Mihailo con la corona
è ancora situata nella chiesa di San Mihailo presso Ston, una cittadina posta nella
penisola di Peljesac (attuale Croazia). In una lettera del 1077, il Papa si rivolge
a lui come "Michaeli Sclavorum Regi" (Michele, Re degli Slavi). Riconoscendo Mihailo
come Re, il Papa considerò anche la sua richiesta che il Vescovato Docleano di Bar fosse elevato a rango di Arcivescovato. La richiesta
fu avversata dai rivali Arcivescovati di Dubrovnik e Spalato. Ma l'8 Gennaio 1089,
il Papa emise una Bolla in favore di Re Bodin, figlio di Mihailo, innalzando il
vescovato di Bar allo status di Arcivescovato, con
dieci vescovati subordinati e l'Arcivescovo Petar al suo vertice.
A seguito della morte di Mihailo, avvenuta nel 1081, e dopo una breve violenta lotta
fra i suoi eredi, suo figlio Bodin divenne Re. Bodin lottò contro Bizantini, Normanni
e conquistò la città di Drachium. Istituì stati vassalli in Bosnia (governati da
Stefan) e Raška (sotto Vukan e Marko), che riconobbero la sua supremazia. Dopo la
morte di Bodin, nell'anno 1101, incessanti lotte per il potere tra gli eredi al
trono, indebolirono lo Stato. Queste dispute culminarono nell'ascesa dei sovrani
provenienti da Raška, al trono di Doclea. La salita al potere di Raška sotto il
suo sovrano Stefan Nemanja, nell'anno 1166, porto così alla subordinazione di Doclea
e alla fine del primo periodo nella storia dello Stato montenegrino. La conquista,
da parte di Nemanja, di Doclea (o Zeta, come cominciò ad essere rinominata dal secolo
XI) terminò con l'annessione della stessa con il regno di Raška. Nemanja distrusse
intere città, nel territorio di Zeta, senza che venissero più ricostruite in seguito.
Perseguitò la setta cattolica bosniaca dei Bogomils ed espulse i Greci, bruciò le
chiese locali e una grande quantità di libri. Pavel Rovinski, uno degli storici
montenegrini del XIX secolo maggiormente documentati, riportò che “nel bruciare
i libri non esistevano discriminazioni, che fossero religiosi, storici, geografici,
di letteratura o naturalistici”. Nemanja iniziò a convertire forzatamente
la popolazione di Zeta al Cristianesimo ortodosso, questo avvenne in un paese dove
“non esisteva un solo prete ortodosso. E quando riuscì a consolidare il suo potere
a Zeta, i Greci erano già stati espulsi” (Rovinski).
A dispetto della massiccia opera di distruzione durante la conquista di Nemanja,
Zeta fu culturalmente ed economicamente una dei più sviluppati territori del Regno
serbo di Raška. Il popolo di Zeta lottò costantemente per mantenere ed incrementare
la sua autonomia. Quando le fondamenta dello Stato serbo cominciarono a sbriciolarsi,
Zeta fece valere sempre più la sua sovranità. Zeta riconquistò la propria indipendenza
sotto la seconda dinastia montenegrina, quella dei
Balšić, che ascesero al potere nell'anno 1356.