Perasto: alla ricerca del gonfalone di Venezia
"Il gonfalone della Serenissima l'hanno cercato anche i soldati italiani durante la seconda guerra mondiale >>,
dice un signore, distinto, seduto sulla bitta di un "mandracchio". Parla un italiano perfetto, con leggera inflessione
veneta."Hanno messo a soqquadro la città, le chiese, i palazzi, gli archivi. Non l'hanno trovato",
sorride."Il gonfalone è sepolto con il suo segreto.C'era una vecchietta che lo sapeva, ma è morta tanti,
tanti anni fa". Le sue parole rompono il silenzio di un'atmosfera sin troppo quieta, stagnante, tagliata da
un battente sole primaverile. Sul lungomare le case, i palazzi, l'alto campanile di San Nicola si specchiano
nelle acque del golfo che qui si biforca tra Risan e Cattaro. Ma anche i riflessi paiono immobili: s'increspano
appena, cambiano colore, prendono il verde del monte Sant'Elia o il bianco frettoloso delle nuvole. Perasto s'è
addormentata. E devi fare uno sforzo d'immaginazione per veder rivivere la città marinara alleata di Venezia, la
fiera Perasto, custode, costi quel che costi, della bandiera di guerra: il gonfalone della Repubblica di San Marco.
I perastini si erano guadagnati col sangue l'onore della custodia nella battaglia di Lepanto, e così ogni volta che
Venezia muoveva la flotta contro gl'infedeli dodici giovani, che rappresentavano altrettante famiglie nobili,
s'imbaricavano con la sacra effigie sul "capitano del mar", la nave ammiraglia.
E quella bandiera d'un pallido rosa con la croce di Cristo, la Madonna, San Giovanni e il Leone di San Marco riusciva
come per miracolo ad infondere coraggio."Dopo la caduta della repubblica veneta nel 1797 i perastini", dice Don
Branko Sbutega, storico e conoscitore profondo del patrimonio artistico delle Bocche, "la nascosero. Anch'io
l'ho cercata, invano, per anni. Eppure è qui. Non lontano. Nei piccoli confini della città." Perasto non è un'
isola, ma per secoli ha vissuto come se lo fosse. Da un lato il mare, ai fianchi i domini turchi di Risan ed Orahovac
e dietro le montagne.Confini fragili quanto inespugnabili. Ne sa qualcosa Rizvanagié pascià, che pur con diecimila otto
mani contro trecento devoti di Maria qui perse l'onore e la testa. Senza mura, ma con un sistema difensivo di torri, dette
castelli e la fortezza di Santa Croce che domina dall'alto, la città affonda le radici nel mare per riaffiorare con le isole
di San Giorgio e della Madonna dello Scarpello che vengon fuori dall'acqua come i piedi d'un gigante assiso sulla montagna.
"Perasto", continua don Branko, "va vista dal mare o dall'alto dei monti. Solo così il suo profilo, i monumenti
e le perpendicolari stradine acquistano senso. Da quando i francesi agli inizi dell'Ottocento hanno costruito la litoranea ne
hanno cambiato la prospettiva.
Anche la piazzetta centrale dove adesso ci troviamo, che prima era sede del Capitanato e pulsava di vita, oggi non serve
più a nulla, tranne che per farci il mercato. Ma al suo posto se Venezia non fosse caduta, insieme alle ambizioni di
questa città, ci sarebbe la più grande basilica barocca delle Bocche di Cattaro, quarantasei metri, lunga sino al mare.
Del progetto di Giuseppe Beati rimane parte dell'abside dell'altare maggiore, due sagrestie ottagonali e l'altissimo
campanile,opera di Giovan Battista Scarpa, rimasto solo, sproporzionato, nella sua monumentalità." Chi erano i perastini?
"Gente ricca per i privilegi fiscali concessi da Venezia, abile nel commercio e anche colta. Nel monastero di Sant'Antonio
è nata la prima scuola dell'obbligo dei Balcani, e da noi esisteva anche una delle migliori accademie navali dell'Adriatico.
Qui c'erano più navi che abitanti." Passeggiamo sul lungomare. In un'angolo, di fronte ad esili colonne, una gomena arrotolata
come un serpente rimane la sola testimone dell'ultimo veliero che attraccò agli inizi del secolo.
Più avanti, una rete da pesca è stesa ad asciugare insieme a coloratissimi panni disposti a raggiera davanti alla chiesetta di
San Giovanni Battista. Le finestre sono chiuse. Silenzio. "Ecco le sontuose dimore dei nobili capitani", riprende Don Branko,
"palazzo Smekja, Viskovié, Bronka oppure lì in fondo quello dei Bujovié, progettato dall'architetto veneziano Giovanni Battista
Fonte. Per me uno dei più belli della costa dalmata!". "Ma non bisogna lasciarsi incantare dal lusso; i perastini erano gente
dura, senza scrupoli, spesso corsari al soldo del miglior offerente. Venezia li aveva scelti per questo, trasformando Perasto
in una specie di Hong Kong. Qui c'era il mercato degli schiavi e si raccoglievano audaci avventurieri, pirati, ciurmaglia d'ogni
genere e chiunque non avesse paura di aver turchi e corsari barbareschi dietro l'uscio di casa. L'élite perastina non esitò a
macchiarsi di un atroce delitto per affrancarsi dal controllo di Cattaro, che aveva il privilegio di nominare l'abate dell'isola
di San Giorgio. Una domenica del 1535 durante la Messa, appena le labbra del prelato si schiusero nell'''amen'' del Padre Nostro,
un gruppo di congiurati piombò sull'altare, trafiggendo l'abate con sessanta coltellate. Anatema e scomunica papale; per un
periodo non si potè né battezzare né seppellire ma, con l'aiuto di Venezia, i perastini riuscirono a farla franca, e persino a
liberarsi del controllo cattarino sull'abbazia benedettina. Nel Settecento inizia il Rinascimento. Perasto si trasforma nella
capitale artistica e barocca delle Bocche di Cattaro.
Molto si deve ad un uomo, l'arcivescovo Andrea Zmajevié, che seppe valorizzare artisti locali come Tripo Kokolja, autodidatta ma
geniale, uno dei più grandi pittori barocchi della costa. Questi per il suo mecenate affrescò le volte della Madonna dello Scarpello,
decorò la cappella e il salone del palazzo arcivescovile, e nella chiesa della Madonna del Rosario, che l'alto prelato destinò a
proprio sepolcro, dipinse 'Il Mistero del Rosario'. Sono quegli edifici scuri, in alto, sotto la fortezza di Santa Croce". "Con la
caduta della Serenissima", termina tirando il fiato e piegando leggermente il capo in un cenno di rassegnazione, "Perasto perde
importanza, torna ad essere un pugno di case in quella baia dimenticata che si chiama Bocche di Cattaro. Sotto gli austriaci i perastini
chiesero di custodire anche il gonfalone della marina di Francesco Giuseppe, ma non ebbero risposta". Se alcuni sapori antichi di
Grecia o Albania sono ancora nei paesini sperduti delle Murge pugliesi o in Calabria, l'ultimo soffio della cultura veneta lo ritrovi qui,
nella mentalità della gente, nelle parole, nei dolci di mandorle e miele, buoni, ma duri da spaccare i denti...
Nicolò Carnimeo
Giornalista
Questo te lo avevano raccontato?