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Nel segreto di un nome, il destino di un popolo

Non c'è paese al mondo come il Montenegro. Ve ne sono di più grandi, più ricchi, ma nessuno che si descrive già nel nome. Prima che i re chiamavano il loro paese in modo che se ne potesse cogliere l’essenza.

E il Montenegro è stato un regno. Nel tempo i regni e i grandi imperi sono comparsi, i loro nomi persi, svaniti nel leggendario mondo delle fiabe. Solo il Montenegro è rimasto a testimoniare che la fiabesca bellezza racchiusa nel segreto di un nome non finisce mai. Da sempre i montenegrini camminano fieri, con lo sguardo in alto che sembra sopravanzare le alte vette del Lovćen e del Durmitor. Le loro aspirazioni volano oltre i monti così come la sete di conoscenza che li spingeva già nel Medioevo a prendere le innovazioni della nascente era moderna e portarle nel proprio paese. Si racconta che quando Gutenerg inventò la stampa, il principe montenegrino Ivan Crnojević, tornando a casa, si portò una stamperia sulle spalle!

Alla guida del paese avevano uno scrittore, Petar Petrović Njegoš, molto prima dell'ultima moda che ha avvicinato gli intellettuali alla politica. E quando è morto lo hanno sepolto sulla cima del Lovćen, in modo che tutti potessero ammirarlo e perché indicasse il cammino verso il cielo, proprio come le guglie delle grandi cattedrali europee, così vicine alle nuvole e a Dio.

Nel corso della storia i montenegrini hanno lottato per difendere il paese dagli invasori Ottomani, hanno fuso il piombo delle stamperie in munizioni per difendersi, ma si narra che dopo le vittoriose battaglie lo riutilizzassero per trasformarlo di nuovo in caratteri e stampare libri. Non so quanto ci sia di vero, ma le leggende non esistono solo per raccontare delle verità. Spesso nascondono altre storie.

Sono sicuro che il mistero dell'aggettivo nel nome di un paese rimanga nei sentimenti della sua gente, ma come ci sono paesi senza aggettivi nel nome, così esistono popoli che non fanno differenza tra ciò che è morale e ciò che è bello. Ovunque, questi due sentimenti si distinguono, mentre in Montenegro rappresentano due espressioni della stessa identità.

E per me questo, più di qualsiasi leggenda, indica il cammino che guida alla verità di un popolo. In Montenegro sono entrato come un adulto che entra nel cortile della sua infanzia. Mi sembrava di poterlo misurare passo dopo passo, come ho misurato il quartiere della mia città natale. Sapevo con precisione quanti passi ci sono da casa mia a scuola e da scuola fino allo stadio Kosevo, o dal cinema fino a qualche luogo scelto per i primi incontri amorosi. Così, ho avuto il Montenegro "misurato", senza che abbia preso le misure.

E non perché è un paese piccolo. Diceva mio padre che se qualcuno la stirasse, la Jugoslavia sarebbe più grande dell'Unione Sovietica. Lo stesso si può dire del Montenegro. Se guardi questa terra dal mare ti sembra di ascoltare le parole di Kant: “La tragedia libera il senso del sublime». E questa la sensazione che si prova guardando le cime del Lovćen da Cattaro. E a me sembra che da Sveti Stefan sino alle cime del Durmitor e al lago Nero ci sia un'eternità di cammino: due bellezze si fondono come nella poesia di Crnjanski, che avvicina i gelidi ghiacciai della Groenlandia alle calde baie sabbiose dei mari del Sud.

Tutto nel Montenegro si amalgama,:forma strani contrasti dove s'intrecciano minuscolo e grandioso, come nei ricordi dell'infanzia, quando la realtà pare brillare, vivificarsi di colori. La storia del Montenegro è anche quella dei suoi uomini forti di spirito e virtù. Come Njegoš una volta affascinava i nobili delle corti europee, così oggi gli eroi dello sport incantano milioni di spettatori, i giganti della pallacanestro nascono ancora nelle Bocche di Cattaro, sul mare, o nelle montagne del Montenegro. Non si poteva immaginare la squadra nazionale della Jugoslavia senza i calciatori montenegrini, né oggi i grandi club senza questi giovani talenti. E questa è solo una parte della storia di questo paese. Perché qui storie, fiabe e leggende s'intrecciano.

Quando Dejan Savicević, in una finale di Coppa Campioni ad Atene in cui il Milan sconfigge il Barcellona per 4-0, dribbla il calciatore avversario, lo fa come se fosse uscito da un quadro di “Vojo” Stanić, l'imprevedibile traiettoria dei suoi diagonali pare nata dalla stessa genialità dei dipinti di questo grande pittore che sfida le prospettive. Le spiritose nonnine che viaggiano nel tuorlo d'uovo nei quadri di Stanić viaggiano in un'altra dimensione come i palloni vincenti di Dejan Savicević, assolutamente incomprensibili per il portiere della squadra avversaria.

Quando, affranto, accompagnavo mio padre nell'ultimo cammino al cimitero di Herceg Novi (Castelnuovo), con lo sguardo perso nel lontano orizzonte del mare pensavo che più di ogni altra cosa l'ha ucciso la tragedia di un paese, del nostro paese, che scompariva proprio in quell'anno, il 1992. Mentre i secchi ramoscelli di pino crepitavano nel lungo silenzio dei passi, sapevo che può esserci conforto anche nella morte e che qui avrebbe riposato in pace. Provavo una sensazione di risveglio, di rinascita. Perché in Montenegro vivrà quello che mio padre e io abbiamo amato nel paese perduto.

Emir Kusturica
Regista

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