LA MIA ITACA E’ UN GOLFO (Antun Sbutega)
Cerco la via del ritorno
Scilla e Cariddi mi stanno aspettando
Ho tappato le orecchie con la cera
Per non sentire il fatale
Canto delle sirene
Sto cercando la via del ritorno
Chi sa se mi aspettano ancora
O mi hanno dimenticato
Tanto tempo fa
Chi sa se ho lasciato qualche traccia
Se essi sono vivi e come stanno
Se si ricordano di tutto
Ho perso tante cose
Vagabondando per il modo
Non penso al tempo
Perché sarebbe invano
Molte navi sono affondate
Molte città sono distrutte
Sono rimaste solo le rovine e le ceneri
Cerco la via del ritorno
Sono già molto stanco
Ormai non mi consolano più
Né ninfe, né maghe
E’ invano
Non riesco a dimenticare niente
Devo ritornare
Ci sono quelli che partono
Per non tornare mai indietro
Ci sono quelli che come Enea
Vanno per costruire le città
Su un’altra riva
Ma io non sono uno di loro
Io sono Ulisse
Le coste sono i luoghi più importanti del mondo. In esse s’incontrano i due elementi
cardinali, l’acqua e la terra. Le coste sono l’inizio e la fine. Tutti vorrebbero
arrivare sulla costa, le navi e i navigatori, i naufraghi e i viaggiatori, i ruscelli
e i fiumi. Le coste sono qualcosa di reale, di palpabile, di materiale, una località
geografica, un paesaggio ed anche qualcosa di astratto, un concetto geometrico,
una linea unidimensionale che separa la superficie delle acque dalla superficie
della terraferma. Ma sono anche molto di più, qualcosa di poetico, di trascendente.
Un filosofo voleva tornare sulle rive della nascita, Ulisse cercava con perseveranza
le coste della sua Itaca. Le coste sono punti d’appoggio e punti d’arrivo. La mia
Itaca non è un’isola, ma un golfo. I golfi sono i posti più importanti sulle coste.
L’acqua e la terra sulla costa si toccano solamente, nel golfo un elemento si congiunge
all’altro, compenetrandosi in un atto amoroso. Questa congiunzione d’elementi fa
sì che il golfo diventi una nuova entità, pur conservando le qualità della terraferma
e dell’acqua. A differenza della costa che possiede soltanto una dimensione, il
golfo è uno spazio che possiede la lunghezza, la larghezza, la profondità e l’altitudine,
uno spazio determinato ma collegato con la terra, il mare e il cielo. I golfi sono
autosufficienti, un piccolo universo, che intuisce tuttavia gli altri mondi e con
loro comunica. Quando penso al golfo, all’idea del golfo come archetipo, all’immagine
primordiale che dentro di sé contiene tutti i golfi del mondo e che é servita come
parametro alla loro creazione, allora penso alle Bocche di Cattaro, a sud della
costa dell’Adriatico orientale, a sud della Dalmazia, in quel breve tratto di costa
che appartiene al Montenegro e che separa la Croazia dall’Albania. Così le Bocche
diventano un’astrazione, cessano di essere un paesaggio, un ambiente naturale e
urbanistico, uno spazio al quale sono legati i miei ricordi, il palcoscenico sul
quale si è svolta la mia infanzia e gran parte della mia vita. La mia immagine del
golfo si mescola con i miei sogni e con i sogni altrui, con l’immaginazione e i
miti, con i ricordi del passato remoto e del futuro, con le immagini degli altri
paesaggi. Diventa metafora.
Le Bocche appaiono allora statiche ed immutabili. Questa sensazione di staticità
e di stabilità trae origine dalle montagne massicce che circondano lo specchio d’acqua
e che, assomigliando a delle cariatidi, possiedono qualcosa d’antropomorfico. La
staticità, tuttavia, non riguarda che l’intero armonioso che la struttura del golfo
compone con l’architettura delle città costiere. Un’armonia generata dal timoroso
rispetto degli uomini che qui non hanno osato competere con l’imponenza della natura.
Quello che cambia è la luce, la sua intensità, le ombre ed i colori. Nascono così,
straordinari e sorprendenti scenari che si alternano nel corso della giornata e
lungo l’intero anno.
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