LA MIA ITACA E’ UN GOLFO (Antun Sbutega)
C’era anche qualcosa di bello in quella tranquillità e nel suo quasi palpabile silenzio.
La vita era connotata dai ritmi del giorno e delle stagioni, dai cicli naturali
che si succedevano con inalterabile regolarità. E invece tutto cambiava con strana
lentezza, era solo un’illusione. Nel 1989 cadde il muro e nel 1991 si spappolò la
Jugoslavia titoista. Le Bocche rimasero nel Montenegro, che si era unito alla Serbia.
Seguirono anni di guerra, d’isolamento, di blocco navale. Dal 1992 il golfo diventò
base di contrabbandieri italiani e si guadagnò il soprannome di Tortuga adriatica.
Nel 1999 piombò dal cielo qualche bomba e qualche missile degli aerei della Nato
senza provocare gravi danni. Ora il Montenegro vuole staccarsi dalla Serbia, desideroso
di ritrovare l’indipendenza perdura. E così siamo arrivati al Terzo millennio. Ma
io ho abbandonato il golfo già da tanto tempo, spinto dalla brama di incontrare
il mondo o fuggendo da qualcosa, non ricordo nemmeno il perché. Ma delle Bocche
mi ricordo sempre.
Questo golfo era un universo, dove avevo incontrato le anfore greche, i mosaici
romani, le icone bizantine, le chiese romaniche, gotiche e barocche, i vetri di
Murano, i quadri dei grandi pittori veneti, i mobili francesi, le armi turche, i
ritratti di Francesco Giuseppe, il gulasch ungherese e lo strudel viennese, dove
da bambino guardavo nel piccolo cinema vicino casa i film di Eisenstein, Dovzenco,
Chaplin, Ford, Huston, Fellini, De Sica, Godard, Renoir, Bunuel e Bergman. Avevo
letto i fumetti di Flash Gordon e di Prince Valliant, durante le noiose lezioni
nella scuola situata in un palazzo barocco. Ascoltavo nella chiesa cattolica i canti
gregoriani e in quella ortodossa i canti paleoslavi e fuori delle chiese la musica
di Sinatra, di Armstrong, dei Beatles, di Aznavour, di Modugno e di Celentano. Leggevo
Robinson, Gulliver, Ventimila leghe sotto i mari, l’Odissea, Moby Dick, le avventure
di Gordon Pim, le Mille e una notte, la Divina Commedia. Guardando le navi e ascoltando
i racconti dei marinai sognavo di partire anch’io un giorno. Ignoravo di aver già
incontrato là da bambino tutto quello che poi avrei visto da adulto, vagabondando
per il mondo. Così mi sono chiesto molte volte: valeva veramente la pena di crescere
per andarmene lontano da quel posto dove, almeno la sua parte più importante, c’era
già il mondo intero?
Pagina precedente