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Arte e cultura

Guerra

A differenza di quella serba, la mitopoietica montenegrina e la sua versione romantica e moderna, non mette l’accento sulla rivolta ma sulla guerra. Visto che si sostiene che il Montenegro non è mai stato occupato dai turchi, (al contrario della Serbia che era sotto il giogo ottomano per circa 5 secoli) ma è rimasto sempre uno stato libero, allora i secolari scontri con i turchi non potevano essere rivolte ma guerre.

I montenegrini, in questa visione, erano fieri, indomabili guerrieri, una spina nel fianco per l’impero ottomano, con un grande senso dell’onore, pronti all’estremo sacrificio e tutte le guerre che loro combattevano erano guerre giuste e sante per la difesa della patria, della libertà e della cristianità.

Anche quando presenta il Montenegro come la Sparta serba, come la continuazione dell’impero medievale serbo, la tradizione montenegrina guarda con superbia e spesso anche con disprezzo gli altri serbi, che hanno sopportato per secoli l’umiliante giogo ottomano e, dopo la mitica battaglia del Kosovo del 1389, prima di essere definitivamente conquistati nel 1459, sono stati per 70 anni fedeli vassalli del sultano combattendo insieme al suo esercito contro gli altri cristiani, anche contro i montenegrini.

Naturalmente la tesi che il Montenegro non fu mai conquistato dai turchi è solo un mito. Dopo la conquista ottomana del 1496, fino all’inizio del XVII secolo, il Montenegro godeva di un trattamento speciale con ampie autonomie e l’esenzione delle tasse ed era generalmente calmo.

Solo nel XVII secolo, con la decadenza dell’impero ottomano e il peggioramento della posizione dei cristiani, quando i privilegi e le autonomie dei montenegrini non furono più rispettati, essi cominciarono a ribellarsi, rifiutando soprattutto di pagare i tributi e le imposte. Il sultano inviava spedizioni punitive alle quali i montenegrini opponevano la resistenza armata dando inizio a scontri secolari che durarono fino al 1913. Inoltre nel XVII secolo Venezia, impegnata nelle lunge guerre contro il sultano, si propone come alleato e come protettrice incoraggiando le tribù e i vladika a prendere le armi. Gran parte degli scontri armati erano di modeste dimensioni, ma in seguito gli eserciti ottomani che attaccavano il Montenegro erano sempre più grandi e i conflitti diventavano sempre più crudeli e drammatici.

La tradizione vuole che i montenegrini fossero stati uniti nel combattere i turchi, ma la realtà era diversa. Una parte delle tribù era sotto il controllo dei turchi, altre periodicamente prendevano la parte dei turchi, per evitare le crudeltà e l’annientamento, o perchè i loro capi erano corrotti dai pascià. Cosi alcune tribù spesso collaboravano con i turchi nelle offensive contro i veneziani e anche contro gli altri montenegrini. Il nucleo della resistenza era il ristretto territorio del Vecchio Montenegro e soprattutto la nahija (sottodistretto) di Katuni, situata intorno alla capitale Cetinje, dove si trovava la sede dei vladika e confinate con il territorio della Repubblica di Venezia.

La poesia orale epica elogia gli aiduchi come eroi e indomabili guerrieri contro l’aggressione ottomana; si tratterebbe di una specie di Robin Hood balcanici che attaccavano le carovane turche per dividere poi il bottino con i poveri cristiani. In realtà si trattava di bande di briganti che attaccavano il territorio turco, saccheggiavano i villaggi, depredavano le carovane, prendevano ostaggi, ma attaccavano altrettanto i territori cristiani, quelli della Repubblica di Venezia e della Repubblica di Dubrovnik e anche quelli delle altre tribù montenegrine. Si trattava di un fenomeno molto diffuso per altri territori ottomani dei Balcani che non erano ben controllati, in Grecia, Macedonia, Bulgaria, Serbia, Albania e Bosnia ed Erzegovina. Questa attività si era sviluppata anche per ragioni economiche; le tribù che abitavano nelle montagne vivevano della pastorizia e dell’agricoltura primitiva e soffrivano spesso di carestie e dunque il brigantaggio era un’attività molto redditizia.

Dopo che nel XVIII secolo aveva costituito uno stato autonomo, che rifiutava di riconoscere l’autorità ottomana, il Montenegro era esposto ai sempre più frequenti e violenti attacchi ottomani; così nel corso del settecento si contano 19 attacchi, dei quali alcuni con decine di migliaia di soldati sotto il comando dei pascià di Bosnia e di Albania. Tra il 1692 e il 1795 gli ottomani riuscirono quattro volte a penetrare a Cetinje ed a bruciare il monastero (che veniva sempre di nuovo ricostruito), senza riuscire a domare i montenegrini. Molte volte invece i montenegrini riuscivano a sconfiggere i molto più numerosi eserciti del nemico.

Le guerre erano crudeli; i turchi distruggevano villaggi, massacravano e schiavizzavano la popolazione civile e decapitavano, scuoiavano e impalavano i prigionieri e gli ostaggi. Neanche i montenegrini erano teneri con i nemici; i guerrieri portavano le teste mozzate dei turchi uccisi come la prova del loro valore, che venivano esposte per giorni accanto al monastero di Cetinje.

E’ interessante che, nonostante ci siano state tante vittorie dei montenegrini contro i turchi, nella memoria collettiva è rimasta impressa una in particolare, glorificata dalla poesia orale e poi dalla storiografia romantica, che in realtà non è mai avvenuta, quella di Carev Laz. Secondo la mitologia il 17 luglio 1712 un esercito di 60.000 turchi è stato sconfitto dai montenegrini che avevano ucciso 20.000 nemici perdendo solo 300 uomini.

Infatti, la vittoria decisiva era quella di Krusi nel 1796, quando montenegrini sotto il comando del vladika Petar I sconfissero l’esercito del pascià di Scutari che fu ucciso e la sua testa mozzata venne portata come trofeo nel monastero, sede del vladika. Cyprien Robert, nella sua opera “Le Monde greco-slave” scrisse: “Gedeone della Montagna Nera (il vladika Petar) fece imbalsamare la testa del suo avversario, il visir di Scutari, la quale fu esposta nella sala ricevimento del monastero Stanjevici, per essere poi portata a Cetinje. Come nel passato una testa servì per le fondamenta del tempio di Giove a Roma, così la testa di Busatli diventò, per così dire, la base del Campidoglio montenegrino. La splendida vittoria a Krusi rappresentò l’inizio della nuova era per i montenegrini, la cui indipendenza venne accettata agli occhi dell’Europa e riconosciuta anche dal sultano, che da allora in poi non pretese più i tributi.”

Fonte

Prof. Antun Sbutega

Lezioni tenute presso l'Università La Sapienza di Roma

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